Una colonnina di servizio in una mattina qualsiasi, il cartello con i prezzi che cambia di pochi centesimi e gli automobilisti che controllano il display prima di riempire il serbatoio: è questa la sequenza che molti noteranno nel momento in cui la manovra fiscale va a regime. Dal 2026 la tassazione sui carburanti viene riscritta: la benzina e il gasolio avranno la stessa accisa, fissata a 672,90 euro per mille litri, una scelta che cancella decenni di differenze tariffarie tra i due prodotti. È una svolta voluta per eliminare quello che il Ministero dell’Ambiente ha definito un “sussidio ambientalmente dannoso”, identificato con il codice EN.SI.24, e rappresenta un’accelerazione rispetto al percorso graduale previsto dal decreto legislativo che aveva programmato un avvicinamento più lento. Un dettaglio che molti sottovalutano: il cambiamento è formale ma si misura al centesimo sul prezzo alla pompa.
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Che cosa cambia per il prezzo alla pompa
Per capire l’effetto sui distributori bisogna partire dalle aliquote vigenti. Dopo il ritocco di maggio 2025 la benzina aveva un’accisa di 713,40 euro per mille litri, il gasolio di 632,40 euro per mille litri. Con l’allineamento si torna entrambi a 672,90 euro per mille litri, quindi la benzina perde 40,50 euro per mille litri e il diesel aumenta della stessa cifra. In termini pratici sono 4,05 centesimi al litro in meno sulla verde e 4,05 centesimi al litro in più sul diesel.

Ma la variazione si riflette interamente nel prezzo finale, perché su quel delta si applica anche l’IVA al 22 per cento. Il risultato netto è una riduzione di circa 4,94 centesimi al litro per la benzina e un aumento di 4,94 centesimi al litro per il gasolio. Su un pieno standard da cinquanta litri la differenza vale all’incirca 2,47 euro di risparmio o di maggior costo. Un fenomeno che in molti notano solo in caso di percorrenze lunghe: per chi usa l’auto quotidianamente il conto annuale può diventare percepibile, mentre per gli spostamenti sporadici l’effetto rimane limitato.
La dinamica mostra chiaramente che l’impatto dipenderà anche dalle altre componenti del prezzo, come le quotazioni internazionali del petrolio e i margini di distribuzione: la riduzione fiscale non garantisce automaticamente lo stesso taglio in pompa.
Chi resta escluso e come funzionano i rimborsi
La manovra non applica l’aumento in modo uniforme: la bozza prevede eccezioni elencate nella Tabella A del Testo Unico delle Accise. Restano protetti, per esempio, gli usi agricoli e affini (il punto 5 della Tabella A): il gasolio per lavori agricoli, allevamento, silvicoltura, piscicoltura e florovivaismo non subirà il rincaro e continuerà a beneficiare delle specifiche agevolazioni. Analogo trattamento è previsto per il punto 9, che tutela il gasolio usato come forza motrice in motori fissi e per macchine operatrici non idonee alla circolazione stradale, come gli impianti nei cantieri o le attrezzature portuali.
Un caso a parte è il gasolio commerciale per l’autotrasporto, disciplinato dal punto 4-bis. Questo carburante mantiene un’aliquota agevolata pari a 403,22 euro per mille litri, ma il beneficio rilevante per le imprese è riconosciuto attraverso un sistema di rimborsi calcolato come differenza rispetto all’aliquota ordinaria. Con l’accisa ordinaria portata a 672,90 euro per mille litri, il differenziale rimborsabile sale a 269,68 euro per mille litri, ovvero circa 26,97 centesimi al litro. Si tratta di un aumento contabile di 40,50 euro per mille litri rispetto al 2025.
Un dettaglio che sfugge a chi vive in città: l’incremento del rimborso non è una modifica del regime agevolato, ma la naturale conseguenza del rialzo dell’accisa ordinaria. Le risorse aggiuntive derivanti da questa operazione non sono destinate al trasporto pubblico locale come nel ritocco precedente, ma confluiranno nel Fondo per l’attuazione della delega fiscale, istituito dall’articolo 62 del decreto legislativo 209/2023, che ha una dotazione pluriennale.
Reazioni, rischi di speculazione e cosa osservare
Le associazioni dei consumatori hanno reagito con preoccupazione e richieste di controlli serrati. Il Codacons ha definito la misura una “stangata sul gasolio” e chiesto verifiche per assicurare che il taglio sull’accisa della benzina venga effettivamente trasferito ai prezzi alla pompa, senza essere assorbito dalla filiera. L’associazione ha stimato che, conteggiando l’IVA inclusa, un automobilista che fa due pieni di gasolio al mese pagherà circa 59,30 euro in più all’anno. Un aspetto che molti sottovalutano è proprio questo rischio di assorbimento da parte dei distributori.
Anche Assoutenti ha richiamato l’attenzione sul peso della tassazione in Italia, mentre l’Unione Nazionale Consumatori (UNC), con il presidente Massimiliano Dona, ha parlato di operazione per “far cassa”, ricordando che in un precedente documento il Ministero dell’Ambiente aveva indicato un percorso di equiparazione su livelli più bassi. Secondo i dati citati dalle associazioni la componente fiscale — tra IVA e accise — pesa per circa 60 per cento sul prezzo della benzina e per il 56,9 per cento su quello del diesel; in termini monetari si parla di circa 1,02 euro al litro per la benzina e 0,92 euro al litro per il diesel destinati allo Stato.
Per gli automobilisti l’effetto pratico è immediato: su un parco circolante dove circa il 42 per cento delle vetture è a benzina e il 40,9 per cento a diesel, la platea interessata è ampia. Per questo motivo le associazioni hanno chiesto una vigilanza serrata nei primi mesi del 2026, per evitare che la riduzione fiscale sulla verde venga assorbita o che l’aumento sul gasolio diventi pretesto per rincari superiori alla misura prevista. Alla fine, il dato concreto che molti italiani osserveranno è quello sul display della pompa: qualche centesimo in meno o in più che fa la differenza quando si percorrono molti chilometri.
