Nella notte diverse migliaia di contribuenti si sono svegliati trovando nella casella Pec una comunicazione fiscale inattesa: una serie di lettere di compliance inviate dall’Agenzia delle Entrate. La modalità non è passata inosservata — numeri elevati recapitati dopo la mezzanotte del 16 ottobre 2025 e consegne cartacee arrivate nelle abitazioni e negli studi professionali nel corso dei giorni successivi — e ha suscitato domande tra cittadini e consulenti già impegnati con le scadenze. Un dettaglio che molti sottovalutano è che questi invii non rappresentano in automatico un avviso di accertamento: sono messaggi per sollecitare una verifica e, quando necessario, una regolarizzazione volontaria. Il clima tra gli studi è di prudente allerta: si raccolgono dati, si analizzano quadri reddituali e si prepara la risposta che spesso richiede documentazione e tempi precisi.
Chi finisce nel mirino dei controlli
Le comunicazioni si concentrano su chi, nella dichiarazione dei redditi 2023 relativa all’anno d’imposta 2022, non ha riportato voci presenti nelle certificazioni uniche trasmesse da datori di lavoro, committenti o enti previdenziali. L’intento dell’amministrazione è chiaro: incrociare i dati dichiarati con quelli in possesso del Fisco per individuare incongruenze e possibili casi di omissione. Nella pratica, emergono spesso situazioni banali ma rilevanti — rapporti di lavoro cessati che compaiono ancora nei flussi, compensi da lavoro autonomo occasionale dimenticati, ricavi da locazione non dichiarati anche se soggetti a cedolare, o redditi “misti” percepiti da più datori di lavoro che non sono stati ricomposti correttamente.

Gli uffici utilizzano i flussi informativi dei sostituti d’imposta, degli enti previdenziali e degli intermediari finanziari per costruire il quadro complessivo del contribuente. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che errori tecnici nella trasmissione delle certificazioni possono generare duplicazioni o omissioni apparenti: non sempre la casistica segnalata corrisponde a un comportamento volontario. La distinzione tra errore e omissione intenzionale resta centrale per stabilire il percorso amministrativo successivo.
Per i contribuenti coinvolti, la comunicazione rappresenta più che altro un invito a verificare la propria posizione e a correggere eventuali imprecisioni prima che la questione evolva in una contestazione formale.
Cosa fare se arriva la comunicazione
La prima mossa è verificare con attenzione i dati segnalati: consultare il cassetto fiscale e la sezione dove l’Agenzia scrive per confrontare le informazioni con la propria dichiarazione. Spesso si tratta di redditi già tassati alla fonte o di cifre non aggiornate dal sostituto d’imposta. Quando emerge un errore nella rilevazione, la strada corretta è inviare chiarimenti e documentazione tramite gli strumenti telematici messi a disposizione dall’amministrazione.
Se invece la verifica conferma l’omissione, esiste la possibilità di procedere alla regolarizzazione volontaria via ravvedimento operoso, con il pagamento delle imposte dovute, degli interessi e di una sanzione ridotta proporzionale al ritardo. La regolarizzazione passa per la presentazione di una dichiarazione integrativa che corregge la posizione fiscale. Un dettaglio che molti sottovalutano è che per certe categorie — in particolare lavoratori dipendenti e pensionati — è possibile usare la dichiarazione precompilata integrativa, semplificando l’operazione e velocizzando il saldo delle somme richieste.
In caso di incertezza, rivolgersi a un professionista rimane la scelta più pratica: gli studi stanno già riorganizzando il lavoro per gestire le risposte, raccogliere documenti e inviare le rettifiche necessarie. Il risultato pratico è che molti contribuenti, dopo la verifica, chiudono la segnalazione con una regolarizzazione contenuta o con la dimostrazione che non c’era un’inesattezza da correggere.
