All’interno di una cucina di periferia, una coppia scorre i documenti dell’ISEE e si ferma sul valore indicato per la casa in cui vivono. È una scena che si ripete in molte famiglie italiane: bollette, richieste di agevolazione e il timore che la proprietà immobiliare pesi sui calcoli dei sussidi. A cambiare, però, è proprio quella voce che fino ad ora influenzava molte pratiche amministrative. Da 1° gennaio 2026 il modo di valutare il valore della prima casa nell’ISEE viene rivisto dalla manovra di bilancio, con l’obiettivo dichiarato di alleggerire il peso del mattone sul patrimonio dichiarato. Secondo il testo di legge, la prima casa potrà risultare in buona parte esclusa dal conteggio del patrimonio immobiliare, cambiamento che interessa famiglie, pensionati e lavoratori con redditi contenuti. Un dettaglio che molti sottovalutano è la differenza tra il valore catastale utilizzato per i calcoli e il valore di mercato, che può dare risultati opposti a seconda delle città.
Cosa cambia nel calcolo
La riforma introduce una misura tecnica ma concreta: la franchigia applicabile alla prima abitazione aumenta in modo sostanziale. In termini pratici, la bozza del provvedimento porta la soglia non imponibile da 52.500 euro a 91.500 euro, con un incremento di 2.500 euro per ciascun figlio convivente oltre il primo. Questo significa che una parte consistente del valore dell’abitazione principale non entrerà nel computo del patrimonio ai fini ISEE. È però necessario precisare che il testo definitivo e le modalità operative verranno fissate con un decreto attuativo, dunque restano aperti alcuni dettagli applicativi.

Per la porzione del valore che supera la soglia stabilita, la norma prevede una regola di calcolo: l’eccedenza sarà considerata per due terzi ai fini patrimoniali. Occorre anche una distinzione importante tra abitazioni ordinarie e immobili di pregio: la misura si applica all’abitazione principale e non alle cosiddette case di lusso. Esiste inoltre l’ipotesi — riportata nelle bozze — che per valori catastali individuali fino a circa 100.000 euro l’esclusione possa essere totale, ma questo resta un profilo su cui il decreto dovrà chiarire soglie, meccanismi e controlli. Un dettaglio tecnico che accompagna la misura è la necessità di uniformare i criteri tra agenzie e Comuni, perché il calcolo del valore catastale varia sul territorio e può incidere sulle pratiche di chi richiede prestazioni.
La modifica punta a rendere l’ISEE più rappresentativo della capacità economica effettiva del nucleo familiare, riducendo il peso di un bene che spesso non è fonte di liquidità nella vita quotidiana. Chi segue le pratiche degli sportelli sociali racconterà che, in diverse amministrazioni locali, si teme un aumento delle richieste di aggiornamento delle dichiarazioni per adeguare l’ISEE alle nuove regole. Un fenomeno che in molti notano soprattutto nelle aree metropolitane, dove i valori catastali e di mercato divergono con maggiore frequenza.
Chi ci guadagna e quali effetti concreti
I benefici principali ricadranno su categorie precise: famiglie con redditi medio-bassi, lavoratori dipendenti e autonomi con figli a carico, e pensionati che vivono in case di proprietà ma dispongono di risorse limitate. La rimozione o la consistente riduzione del valore immobiliare dal patrimonio ISEE può abbassare l’indicatore e rendere più accessibili diverse prestazioni sociali, come contributi per servizi, agevolazioni sulle rette o bonus mirati. Nella pratica, questo significa che molti nuclei familiari potrebbero rientrare in fasce utili per ottenere supporti che prima risultavano fuori portata.
Va però sottolineato un punto che sfugge a chi vive in città: dove i prezzi immobiliari sono più elevati, l’effetto della franchigia può risultare limitato se il valore catastale supera ampiamente le soglie previste. Inoltre, l’esclusione non si applica alle abitazioni classificate come di pregio, per cui possessori di immobili di lusso non beneficeranno del cambiamento. Anche gli uffici che istruiscono le pratiche dovranno aggiornare procedure e sistemi informativi, con conseguenze sui tempi di lavorazione delle domande.
In termini amministrativi, la variazione dovrebbe ridurre le distorsioni tra patrimonio dichiarato e capacità di spesa reale: lo scopo è evitare che la proprietà dell’abitazione principale diventi un fattore penalizzante per chi ha basso reddito ma un patrimonio immobiliare non liquidabile. Un aspetto pratico da considerare è l’impatto sulle graduatorie per l’accesso ai servizi locali: enti e Comuni potrebbero rivedere le soglie di ammissibilità e aggiornare i bandi. Alla fine, la misura lascia un’immagine concreta: meno segnalazioni di esclusione per eccesso di patrimonio nelle domande assistenziali e, per molte famiglie italiane, un calcolo dell’ISEE che meglio rispecchia la loro situazione economica reale.
