Nel 2026 e 2027 il sistema pensionistico cambia ancora: salgono i requisiti d’età, alcune opzioni spariscono, mentre restano solo pochi scivoli per chi è in difficoltà
Nel sistema previdenziale italiano si prepara una nuova svolta. Con la legge di Bilancio ormai definita, il governo introduce modifiche che toccheranno milioni di lavoratori nei prossimi due anni. Dal 1° gennaio 2027 l’età per la pensione di vecchiaia salirà di un mese, e altri due mesi si aggiungeranno nel 2028. Non si tratta più di un aumento legato meccanicamente alla speranza di vita, ma di una scelta di adeguamento graduale. Una modifica che anticipa la traiettoria prevista da tempo, ma che inizia ora a produrre effetti concreti.
Secondo quanto confermato dal testo approvato, Quota 103 e Opzione donna non saranno prorogate oltre il 2025. Nessuna possibilità di uscita anticipata sarà prevista per i lavoratori che, fino a oggi, confidavano nelle finestre flessibili per accedere alla pensione. In compenso, viene confermata l’Ape sociale per le categorie fragili e rinnovato anche il cosiddetto bonus Giorgetti per chi decide di restare al lavoro pur avendo già maturato i requisiti per l’anticipo.
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Dal 2027 pensione più lontana per tutti (o quasi)
Nel dettaglio, dal 1° gennaio 2027 l’età pensionabile per la vecchiaia passerà da 67 a 67 anni e 1 mese, per poi arrivare a 67 anni e 3 mesi nel 2028. Il requisito contributivo resta fissato a 20 anni. Sul fronte della pensione anticipata, si richiederanno 42 anni e 11 mesi di contributi per gli uomini, mentre per le donne il limite sarà di 41 anni e 11 mesi. Dal 2028, anche qui si salirà: rispettivamente a 43 anni e 1 mese e a 42 anni e 1 mese.

Queste regole non si applicano ai lavori usuranti e gravosi, che rappresentano circa il 2% delle pensioni Inps ogni anno. I lavoratori esclusi dall’innalzamento sono quelli impegnati in gallerie, miniere, altoforni, celle frigorifere, turni notturni, cantieri edili, catene di montaggio, pronto soccorso, scuole per l’infanzia. Un elenco ampio, ma che comunque lascia scoperta la stragrande maggioranza dei lavoratori.
Chi sperava in una proroga di Quota 103 (in pensione a 62 anni con 41 anni di contributi) o di Opzione donna (uscita a 61 anni con almeno 35 anni di contributi) dovrà rivedere i propri piani: entrambe le misure termineranno il 31 dicembre 2025. Nessuna finestra alternativa è prevista per il 2026, fatta eccezione per chi rientra nei requisiti della Ape sociale, che resta in vigore per un altro anno.
Nel 2026 sarà ancora possibile accedere all’Ape sociale. Lo scivolo resta aperto per alcune categorie considerate in difficoltà: disoccupati, caregiver, lavoratori invalidi o impegnati in attività gravose. Per loro è prevista la possibilità di uscire dal lavoro già a 63 anni e 5 mesi, se in possesso di almeno 30, 32 o 36 anni di contributi, a seconda dei casi. L’assegno mensile massimo resta pari a 1.500 euro fino all’età pensionabile ordinaria.
Prorogato anche il bonus Giorgetti, una misura dedicata a chi, pur potendo andare in pensione anticipata entro il 2026, sceglie di continuare a lavorare. In questo caso, il lavoratore riceverà direttamente in busta paga il contributo previdenziale a proprio carico (9,19%), esentasse. Un incentivo pensato per trattenere in servizio personale esperto e alleggerire la spesa pensionistica nel breve periodo.
Sul fronte degli importi, ci sono aumenti selettivi. Circa 1,2 milioni di pensionati con più di 70 anni e redditi molto bassi riceveranno 20 euro in più al mese, al netto dell’incremento di 8 euro deciso nel 2024. Solo chi percepisce meno di 8.500 euro annui potrà beneficiare di questo aumento senza subire ritenute Irpef. Le maggiorazioni sociali verranno inoltre calcolate su tetti leggermente più alti: nel 2026 saranno di 9.981,92 euro per i single e 16.984,89 euro per i coniugati.
Quanto alle pensioni minime, il ritocco sarà automatico: l’assegno mensile salirà da 616,67 a circa 621 euro, per effetto dell’adeguamento al costo della vita e dell’aumento straordinario dell’1,3% previsto dalla precedente legge di Bilancio. Ma non si tratta di una vera riforma: il problema strutturale del sistema previdenziale resta irrisolto.
