Quel numero che spiega perché gli italiani si sentono più poveri (anche se lavorano)

Al palo

Stipendi sempre più bassi-sanzioniamministrative.it

Lorenzo Fogli

Novembre 3, 2025

I dati Istat confermano che, nonostante gli aumenti nominali, il potere d’acquisto continua a calare: in tre anni persi quasi nove punti percentuali

In un’Italia dove il carovita avanza e l’inflazione mostra ancora i denti, il quadro salariale restituito dai dati ufficiali pesa come una sentenza. Secondo quanto pubblicato dall’Istat a fine ottobre 2025, le retribuzioni contrattuali in termini reali sono inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli del gennaio 2021.

La distanza tra quanto si guadagna e quanto si spende resta ampia, segno che gli aumenti registrati nelle buste paga non sono riusciti a tenere testa alla corsa dei prezzi. È un dato che racconta di un potere d’acquisto eroso e di un sistema retributivo che non riesce a rispondere in modo adeguato alla pressione economica che grava su lavoratori e famiglie.

Retribuzioni in affanno: il rallentamento del 2025

Nel terzo trimestre del 2025, la dinamica delle retribuzioni mostra evidenti segni di stanchezza. Dopo qualche segnale più vivace nei mesi precedenti, la crescita salariale si è indebolita, con l’indice delle retribuzioni orarie rimasto invariato tra agosto e settembre. Su base annua, l’aumento è stato del 2,6%, un dato che supera di poco l’inflazione, ma che resta comunque lontano da ciò che servirebbe per recuperare il terreno perso dal 2021.

Stipendi e pressione fiscale
Il peso dei prezzi alti-sanzioniamministrative.it

Nel dettaglio, il settore pubblico ha fatto segnare un +3,3%, trainato anche dalle indennità di vacanza contrattualepagate durante il periodo estivo. L’industria si è fermata al +2,3%, i servizi privati al +2,4%. La crescita è reale solo sulla carta: la distanza dai livelli pre-pandemia è ancora netta. E per molti lavoratori, la sensazione è quella di muoversi in salita su una scala mobile ferma.

I salari nominali crescono a un passo che non basta a colmare il vuoto lasciato dall’inflazione accumulata negli ultimi tre anni. La crescita delle retribuzioni resta fragile, appesantita da fattori strutturali e dalla mancata chiusura di molti contratti collettivi. Intanto, i prezzi al consumo continuano a erodere i benefici degli adeguamenti contrattuali, riducendo ogni margine di miglioramento percepibile nelle tasche dei lavoratori.

Il confronto europeo e le cause del divario

Nel panorama continentale, l’Italia si distingue negativamente. Secondo Eurostat e Ocse, nel 2023 lo stipendio medio lordo mensile in Italia era di 2.729 euro, a fronte dei 3.155 euro della media europea. Questo significa che un lavoratore italiano guadagnava circa 429 euro in meno ogni mese rispetto a un collega europeo, con un divario annuale superiore ai 5.000 euro. Un gap che non si è colmato nemmeno con gli aumenti del biennio successivo: Spagna e Francia hanno registrato una crescita contrattuale più incisiva, riuscendo a mantenere una maggiore coerenza tra salari e inflazione.

Il problema non è solo congiunturale, ma radicato in fattori strutturali. La difficoltà ad aggiornare i contratti collettivi, molti dei quali scaduti da anni, incide sulla capacità di redistribuire in modo efficace gli aumenti. A questo si aggiungono una produttività stagnante, un mercato del lavoro frammentato e l’ingresso tardivo dei giovani, spesso legato a percorsi precari e discontinui.

Il lavoro a basso salario resta diffuso, specialmente nei settori meno digitalizzati e nelle imprese più piccole. La contrattazione integrativa è poco praticata, mentre in molti comparti la crescita retributiva è ancora frenata da vincoli rigidi e dalla debolezza del potere negoziale dei lavoratori. L’effetto netto è una compressione salariale che impedisce di sostenere la domanda interna e frena la ripresa dei consumi.

Oltre ai numeri, il dato più preoccupante è la percezione sociale del blocco salariale. Per milioni di italiani quel –8,8% non è un’informazione astratta, ma una realtà quotidiana. È l’effetto di un carrello della spesa più caro, di bollette che pesano di più e di una casa che costa sempre più da mantenere. In un Paese che fatica a generare fiducia economica, la debolezza delle retribuzioni rappresenta un freno non solo alla crescita, ma anche al benessere collettivo.

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