I dati Istat confermano che, nonostante gli aumenti nominali, il potere d’acquisto continua a calare: in tre anni persi quasi nove punti percentuali
In un’Italia dove il carovita avanza e l’inflazione mostra ancora i denti, il quadro salariale restituito dai dati ufficiali pesa come una sentenza. Secondo quanto pubblicato dall’Istat a fine ottobre 2025, le retribuzioni contrattuali in termini reali sono inferiori dell’8,8% rispetto ai livelli del gennaio 2021.
La distanza tra quanto si guadagna e quanto si spende resta ampia, segno che gli aumenti registrati nelle buste paga non sono riusciti a tenere testa alla corsa dei prezzi. È un dato che racconta di un potere d’acquisto eroso e di un sistema retributivo che non riesce a rispondere in modo adeguato alla pressione economica che grava su lavoratori e famiglie.
Indice
Retribuzioni in affanno: il rallentamento del 2025
Nel terzo trimestre del 2025, la dinamica delle retribuzioni mostra evidenti segni di stanchezza. Dopo qualche segnale più vivace nei mesi precedenti, la crescita salariale si è indebolita, con l’indice delle retribuzioni orarie rimasto invariato tra agosto e settembre. Su base annua, l’aumento è stato del 2,6%, un dato che supera di poco l’inflazione, ma che resta comunque lontano da ciò che servirebbe per recuperare il terreno perso dal 2021.

Nel dettaglio, il settore pubblico ha fatto segnare un +3,3%, trainato anche dalle indennità di vacanza contrattualepagate durante il periodo estivo. L’industria si è fermata al +2,3%, i servizi privati al +2,4%. La crescita è reale solo sulla carta: la distanza dai livelli pre-pandemia è ancora netta. E per molti lavoratori, la sensazione è quella di muoversi in salita su una scala mobile ferma.
I salari nominali crescono a un passo che non basta a colmare il vuoto lasciato dall’inflazione accumulata negli ultimi tre anni. La crescita delle retribuzioni resta fragile, appesantita da fattori strutturali e dalla mancata chiusura di molti contratti collettivi. Intanto, i prezzi al consumo continuano a erodere i benefici degli adeguamenti contrattuali, riducendo ogni margine di miglioramento percepibile nelle tasche dei lavoratori.
Il confronto europeo e le cause del divario
Nel panorama continentale, l’Italia si distingue negativamente. Secondo Eurostat e Ocse, nel 2023 lo stipendio medio lordo mensile in Italia era di 2.729 euro, a fronte dei 3.155 euro della media europea. Questo significa che un lavoratore italiano guadagnava circa 429 euro in meno ogni mese rispetto a un collega europeo, con un divario annuale superiore ai 5.000 euro. Un gap che non si è colmato nemmeno con gli aumenti del biennio successivo: Spagna e Francia hanno registrato una crescita contrattuale più incisiva, riuscendo a mantenere una maggiore coerenza tra salari e inflazione.
Il problema non è solo congiunturale, ma radicato in fattori strutturali. La difficoltà ad aggiornare i contratti collettivi, molti dei quali scaduti da anni, incide sulla capacità di redistribuire in modo efficace gli aumenti. A questo si aggiungono una produttività stagnante, un mercato del lavoro frammentato e l’ingresso tardivo dei giovani, spesso legato a percorsi precari e discontinui.
Il lavoro a basso salario resta diffuso, specialmente nei settori meno digitalizzati e nelle imprese più piccole. La contrattazione integrativa è poco praticata, mentre in molti comparti la crescita retributiva è ancora frenata da vincoli rigidi e dalla debolezza del potere negoziale dei lavoratori. L’effetto netto è una compressione salariale che impedisce di sostenere la domanda interna e frena la ripresa dei consumi.
Oltre ai numeri, il dato più preoccupante è la percezione sociale del blocco salariale. Per milioni di italiani quel –8,8% non è un’informazione astratta, ma una realtà quotidiana. È l’effetto di un carrello della spesa più caro, di bollette che pesano di più e di una casa che costa sempre più da mantenere. In un Paese che fatica a generare fiducia economica, la debolezza delle retribuzioni rappresenta un freno non solo alla crescita, ma anche al benessere collettivo.
