Passeggiare aiuta contro il declino cognitivo: ecco i risultati dello studio di Harvard sull’Alzheimer

Passeggiare aiuta contro il declino cognitivo: ecco i risultati dello studio di Harvard sull'Alzheimer

Passeggiare aiuta contro il declino cognitivo: ecco i risultati dello studio di Harvard sull'Alzheimer

Redazione

Novembre 4, 2025

Boston, 4 novembre 2025 – Un recente studio condotto dal Mass General Brigham e pubblicato su Nature Medicine conferma l’importanza dell’attività fisica per le persone a rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, evidenziando come anche un modesto aumento dei passi quotidiani possa rallentare significativamente il declino cognitivo associato a questa patologia neurodegenerativa. Questa ricerca si inserisce nel più ampio contesto di studi che cercano strategie efficaci per contrastare l’evoluzione di una malattia che in Italia colpisce circa 600.000 persone e che rappresenta una delle sfide sanitarie più rilevanti a livello globale.

L’attività fisica come fattore protettivo contro l’Alzheimer

La malattia di Alzheimer è una demenza degenerativa progressiva, caratterizzata dall’accumulo nel cervello di placche di beta-amiloide e grovigli neurofibrillari di proteina tau, che portano alla perdita irreversibile delle funzioni cognitive, tra cui memoria, linguaggio e capacità di orientamento. Sebbene non esista ancora una cura risolutiva, numerose ricerche hanno indicato che stili di vita sani, inclusa una regolare attività fisica, possono contribuire a rallentare il decorso della malattia.

Lo studio in oggetto ha coinvolto 296 partecipanti tra i 50 e i 90 anni, tutti privi di deficit cognitivi iniziali, monitorati per una media di oltre nove anni all’interno dell’Harvard Aging Brain Study. Attraverso l’uso di contapassi, i ricercatori hanno analizzato la relazione tra il numero di passi giornalieri e l’accumulo di beta-amiloide, proteina neurotossica strettamente correlata all’insorgenza e progressione dell’Alzheimer.

I risultati sono stati chiari: camminare tra 3.000 e 5.000 passi al giorno rallenta il declino cognitivo di circa tre anni, mentre un’attività moderata da 5.000 a 7.500 passi quotidiani può posticipare questo declino fino a sette anni. Al contrario, le persone sedentari mostrano un accumulo più rapido di sostanze tossiche nel cervello e un peggioramento più veloce delle capacità cognitive e funzionali.

Implicazioni cliniche e sociali della prevenzione attiva

La malattia di Alzheimer, pur essendo più comune dopo i 65 anni, può manifestarsi anche in forma precoce intorno ai 50 anni, soprattutto in presenza di predisposizioni genetiche. In Italia, si stima che il 39,5% dei casi di demenza sia attribuibile a fattori di rischio modificabili, tra cui ipertensione, diabete, obesità e inattività fisica. Pertanto, promuovere un’attività motoria regolare rappresenta una delle strategie più efficaci e accessibili per ridurre l’incidenza e mitigare l’impatto di questa patologia.

L’importanza dell’attività fisica è sottolineata anche dal Ministero della Salute italiano, che, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer del 21 settembre 2025, ha ribadito l’impegno nella prevenzione, nella diagnosi precoce e nel sostegno ai pazienti e ai loro caregiver. Il Fondo per l’Alzheimer e le demenze ha stanziato oltre 34 milioni di euro per il triennio 2024-2026, destinati a implementare programmi di telemedicina, formazione degli operatori e supporto concreto alle famiglie.

Verso una gestione integrata della malattia

Nonostante l’assenza di terapie risolutive, l’adozione di uno stile di vita attivo e di una dieta equilibrata costituisce un tassello fondamentale nella gestione della malattia di Alzheimer. L’attività fisica non solo rallenta l’accumulo di beta-amiloide ma migliora anche la qualità della vita, contrastando i disturbi cognitivi e comportamentali tipici della demenza.

La ricerca attuale evidenzia che, per chi presenta già elevate concentrazioni di beta-amiloide nel cervello, un semplice aumento dei passi giornalieri può ridurre drasticamente la velocità del deterioramento mentale. Questo dato apre nuove prospettive per la prevenzione primaria e secondaria, suggerendo che interventi di promozione del movimento potrebbero diventare parte integrante dei protocolli clinici dedicati alle persone a rischio.

Il percorso di cura deve inoltre includere il sostegno ai caregiver, figure essenziali ma spesso sottoposte a elevati carichi emotivi e fisici, affinché possano accompagnare con competenza e umanità i pazienti nel lungo percorso della malattia. La creazione di reti di supporto e l’adozione di tecnologie innovative rappresentano strumenti indispensabili per affrontare una patologia che, ad oggi, coinvolge milioni di persone in tutto il mondo e che, senza interventi efficaci, è destinata a crescere ulteriormente nei prossimi decenni.

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