Campi crepati dal sole, campi sommersi dall’acqua: è questa la geografia che spinge milioni di persone verso la fame. Nel 2024 sono stati proprio gli eventi meteo estremi, in particolare siccità prolungate e inondazioni, a far precipitare oltre 96 milioni di persone in 18 Paesi nella insicurezza alimentare acuta. Il fenomeno non è episodico: la fame acuta è triplicata in sei anni, rispetto ai 28,7 milioni del 2018 (+234%), e risulta aumentata del 33% rispetto al 2023.
Indice
Dati globali e impatto economico
Le cifre tracciano un quadro pesante: nel corso dell’anno più caldo registrato, gli eventi climatici estremi hanno raggiunto livelli record di frequenza e intensità. Il bilancio rilevato da organizzazioni umanitarie segnala 393 disastri naturali, con un conteggio che supera le 16mila vittime e oltre 167 milioni di persone colpite direttamente dagli eventi. Gli impatti economici sono enormi: perdite stimate superiori a 241 miliardi di dollari, risorse che avrebbero potuto sostenere interventi di resilienza nei territori più vulnerabili.

Questi numeri mostrano come la crisi climatica si sia trasformata in un fattore strutturale che mina i sistemi agricoli e la capacità dei Paesi di garantire cibo sufficiente. Un dettaglio che molti sottovalutano è che le perturbazioni meteo non colpiscono soltanto le colture: erodono infrastrutture, interrompono catene di approvvigionamento e comprimono redditi agricoli, riducendo accesso al cibo anche dove la produzione è ancora presente.
Per questo motivo, esperti del settore indicano la necessità di politiche che non siano solo emergenziali ma mirate all’adattamento climatico dei sistemi alimentari, con investimenti pubblici e privati coordinati per limitare l’impatto economico e sociale delle catastrofi.
Corno d’Africa e Pakistan: due crisi a confronto
Nel Corno d’Africa la combinazione di stagioni secche consecutive ha generato una crisi tra le più gravi degli ultimi decenni. Cinque stagioni senza pioggia hanno provocato la peggior siccità degli ultimi quarant’anni, con conseguenze pesanti in Etiopia, Kenya e Somalia. Secondo valutazioni sul campo, nella regione quasi 50 milioni di persone hanno vissuto condizioni di insicurezza alimentare acuta nel corso dell’anno.
Nel Pakistan la situazione è diversa ma altrettanto grave: ondate di calore estreme, inondazioni ricorrenti e periodi di siccità si sono susseguiti, aggravando la vulnerabilità delle comunità rurali e urbane. Durante la stagione monsonica sono stati colpiti oltre 6,9 milioni di abitanti, con effetti che si sommano alla povertà diffusa e a servizi di base fragili. Un aspetto che sfugge a chi vive lontano dalle aree interessate è che la malnutrizione si autoalimenta: perdita di raccolti e reddito porta a diete poverissime e a peggioramento delle condizioni sanitarie.
Le conseguenze sui bambini sono particolarmente severe: nella regione colpita il 40% dei minori sotto i cinque anni soffre di malnutrizione cronica, mentre oltre 2,2 milioni di persone affrontano malnutrizione acuta grave e più di 11,8 milioni vivono in condizione di insicurezza alimentare acuta. Questi numeri evidenziano come eventi climatici estremi e fragilità socio-economiche producano una crisi nutrizionale di lunga durata.
Clima, conflitti e risposte necessarie
Il legame tra cambiamento climatico e fame non è lineare ma si intreccia con altri fattori: gli eventi climatici estremi sono oggi la seconda principale causa di malnutrizione dopo i conflitti, e spesso i due elementi si sovrappongono. Un esempio emblematico è la situazione nella Striscia di Gaza, dove guerre e danni ambientali hanno ridotto capacità produttive, distrutto colture e contaminato suolo e risorse idriche. In quel territorio si segnalano percentuali molto alte di danni a colture arboree, colture annuali e terreni, e c’è una massa consistente di macerie spesso contaminate da materiali pericolosi.
Di fronte a questi scenari, organizzazioni impegnate sul campo richiamano l’attenzione sulla necessità di risposte coordinate: investimenti per l’adattamento climatico, finanziamenti per la resilienza delle filiere alimentari e programmi di protezione sociale mirati ai più vulnerabili. Cesvi e altre ong sottolineano che la prossima grande conferenza sul clima, identificata come COP30, deve diventare un’occasione per tradurre impegni in azioni concrete. Stefano Piziali, direttore generale di una realtà umanitaria, mette in rilievo la necessità di finanziamenti adeguati e politiche su larga scala per prevenire che emergenze si trasformino in crisi irreversibili.
Un fenomeno che molti osservano nelle zone agricole è l’aumento dell’incertezza sulle rese: per questo, la combinazione di adattamento locale e supporto internazionale risulta cruciale. Il quadro resta complesso, ma la scelta politica di rafforzare sistemi alimentari resilienti determinerà la capacità di milioni di persone di mantenere accesso al cibo nel lungo periodo.
