Un quindicenne guarda il telefono mentre aspetta la fine dell’allenamento: tra notifiche e video brevi organizza compiti, chatta con gli amici e controlla eventi in città. Non è un’immagine isolata, ma la scena comune in molte scuole e parchi italiani. I dati raccolti da un’ampia indagine su adolescenti tra i 12 e i 17 anni descrivono una generazione profondamente connessa, che usa il telefono per studiare, informarsi e socializzare. In media gli intervistati segnalano circa tre ore al giorno passate online; per un buon numero, soprattutto tra i più grandi, il tempo supera le quattro ore. Un dettaglio che molti sottovalutano: non tutto l’uso dello schermo è passivo, e spesso coincide con attività reali e organizzate.
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Presenza online e vita reale: un equilibrio complesso
L’indagine mostra che la rete è un canale quotidiano ma non l’unico. Il 97% degli adolescenti usa il telefono per connettersi e, allo stesso tempo, l’83% partecipa ad attività in presenza almeno tre volte alla settimana: sport, corsi culturali o volontariato. Questo profilo segnala una generazione che alterna presenza fisica e digitale, e che in molte città italiane dimostra capacità di gestione del tempo tra impegni scolastici e hobby. Chi è più attivo online tende ad avere anche una vita extracurriculare intensa: non è raro trovare giovani che condividono contenuti dopo una prova di squadra o un laboratorio.

I comportamenti variano con l’età: gli adolescenti tra i 15 e i 17 anni dichiarano una maggiore permanenza sulle piattaforme rispetto ai più giovani. Un fenomeno che alcuni educatori osservano nelle scuole superiori, dove la rete diventa strumento per organizzare gruppi di studio ma anche per amplificare tensioni tra pari. Un aspetto che sfugge a chi vive in ambiti meno connessi è la sovrapposizione costante tra relazioni digitali e rapporti di persona.
Per questo motivo, le scelte familiari e scolastiche rispetto all’uso degli schermi assumono un peso reale sulla quotidianità: non si tratta solo di quantità, ma di come e con chi si usa la rete. Un dettaglio che molti sottovalutano è la differenza tra fruizione passiva e partecipazione attiva, e capire questa distinzione diventa cruciale per ogni intervento educativo.
Creatività, rischi e regolazione: cosa emerge
I ragazzi non sono soltanto consumatori di contenuti: il 63% dichiara di creare e condividere foto, video o testi con una certa regolarità, quasi tre volte a settimana, mentre il 100% cerca informazioni online e il 99% usa chiamate o videochiamate per mantenere i contatti. Il 92% frequenta i social e l’89% gioca in rete. Questa presenza attiva porta con sé opportunità concrete di apprendimento e partecipazione, ma anche segnali d’allarme che vanno considerati con attenzione.
Un terzo degli intervistati riferisce di aver incontrato almeno una volta situazioni a rischio: contatti con sconosciuti, messaggi discriminatori, contenuti violenti o sessuali, episodi di cyberbullismo e minacce via rete. Nonostante molti dichiardino di essere informati, il 30% non si sente pronto a reagire e il 26% ammette di aver falsificato l’età per accedere a una piattaforma. Uno degli aspetti che in molti notano solo in seguito è la difficoltà a trasformare la consapevolezza in azioni concrete di difesa.
La protezione efficace passa dunque per formazione mirata e regole condivise: ascoltare i ragazzi, spiegare rischi e strumenti di segnalazione e mettere in campo soluzioni che non siano esclusivamente proibitive. Un fenomeno che in diverse realtà locali richiede interventi coordinati tra famiglie, scuole e servizi territoriali, perché i problemi che emergono online hanno conseguenze nella vita quotidiana degli adolescenti.
Algoritmi, videogame e il ruolo degli adulti
La piattaforma sociale è spesso più complessa di quanto sembri: il 75% degli adolescenti usa almeno quattro piattaforme diverse e molti iniziano a navigare prima dei 13 anni, con circa il 14% che si avvia a chat e messaggistica molto presto. Gli algoritmi che filtrano i contenuti restano poco chiari per molti: il 42% non sa che i contenuti sono personalizzati, e una buona parte si sente facilmente influenzabile e desidererebbe strumenti maggiori di controllo. Un dettaglio che molti sottovalutano riguarda l’effetto cumulativo delle raccomandazioni automatizzate sulle preferenze dei giovani.
Nel mondo dei videogame, il 62% ritiene di riuscire a gestire il tempo di gioco, ma emergono dinamiche di isolamento e pressioni economiche: il 30% segnala strategie che spingono a spendere per progredire. Questo porta a discutere di protezioni non solo tecniche ma anche economiche. La maggioranza degli adolescenti (86%) chiede limiti pensati per tutelarli, preferendo impostazioni di default più sicure, autoplay disattivato e meccanismi di blocco per contenuti non adatti piuttosto che divieti assoluti.
Infine, gli stessi ragazzi chiedono responsabilità agli adulti: il 76% ritiene che genitori e insegnanti dovrebbero prima regolare il proprio uso degli schermi. Per costruire un’esperienza digitale che arricchisca la vita reale occorre dialogo, formazione e strumenti condivisi; una strada che molte comunità italiane stanno già esplorando, e che porta a interventi concreti nelle scuole e nei centri giovanili.
