Una casa lasciata vuota per mesi, un paiolo di chiavi sul tavolo e, qualche settimana dopo, la ricevuta del versamento: per chi possiede immobili diversi dall’abitazione principale la parola “IMU” pesa spesso sul bilancio familiare. La tassa non è un’eccezione, ma la regola quando la dimora non è riconosciuta come principale: si paga sulla seconda casa, sulle case vacanza, sugli immobili dati in locazione o lasciati sfitto. Lo dimostrano i meccanismi normativi che hanno sostituito l’imposta municipale originaria e le scelte dei singoli Comuni che ne modulano l’impatto. IMU e seconda casa non sono concetti intercambiabili, ma spesso si sovrappongono: sapere quale immobile rientra nell’ambito fiscale è la prima cosa da controllare, specialmente se si vive in città e si hanno proprietà in provincia. Un dettaglio che molti sottovalutano è l’effetto della categoria catastale: non tutte le abitazioni sono trattate allo stesso modo.
Indice
Che cos’è e a chi si applica
L’Imposta Municipale Propria è il tributo locale che finanzia i servizi comunali: nasce come erede dell’ICI e si applica in modo generalizzato agli immobili che non sono l’abitazione principale. Per definire cosa sia una abitazione principale occorre considerare la residenza anagrafica e la dimora abituale; se queste condizioni mancano, l’immobile diventa automaticamente soggetto a tassazione come seconda casa. Esistono però eccezioni tecniche: le unità classificate come A/1, A/8 e A/9 sono trattate diversamente per via della loro natura di lusso, e la categoria A/10 riguarda studi e uffici e segue regole proprie.

Nella pratica rientrano nella platea soggetta a IMU le pertinenze non accorpate all’abitazione principale (cantine, autorimesse, tettoie con categorie C specifiche) e gli immobili dati in affitto o lasciati disabitati. Un fenomeno che in molte città si osserva è la presenza di seconde case nello stesso Comune di residenza: anche in questo caso l’imposta resta dovuta se l’immobile non è riconosciuto come dimora abituale. Esenzioni e riduzioni sono previste, ma dipendono spesso da norme nazionali integrate dalle delibere comunali.
Un aspetto che sfugge a chi vive nella vita quotidiana è la distinzione tra residenza anagrafica e uso effettivo dell’immobile: l’anagrafe può non riflettere la realtà e il criterio fiscale guarda alla dimora abituale. Per questo motivo verificare la categoria catastale e lo stato di effettivo utilizzo è il primo passo concreto prima di calcolare quanto si dovrà versare.
Quando si paga e come si calcola
Il versamento dell’imposta segue scadenze ricorrenti: la maggior parte dei contribuenti provvede in due rate nell’anno, con la prima alla metà dell’anno e la seconda nella seconda metà. In termini pratici, i termini più comuni sono il 16 giugno per la prima rata e il 16 dicembre per la seconda; se la data cade in giorno festivo, il pagamento slitta al primo giorno lavorativo utile. 16 giugno e 16 dicembre sono quindi i punti fissi da segnare sul calendario fiscale personale, ma va ricordato che disposizioni normative straordinarie o delibere comunali possono introdurre variazioni.
Per arrivare all’importo da versare si parte sempre dalla rendita catastale. La procedura standard prevede la rivalutazione della rendita del 5% e la moltiplicazione per il coefficiente previsto per la categoria dell’immobile (per le abitazioni comuni il coefficiente più usato è 160). Sul valore così ottenuto si applica l’aliquota decisa dal Comune: esiste un valore di riferimento nazionale, ma i Comuni possono fissare percentuali diverse entro un intervallo definito dalla normativa. In molti casi l’aliquota base è intorno a 7,6 per mille, ma i Comuni la modulano tra valori minimi e massimi per adeguare entrate e servizi locali; la forbice comunale è spesso tra 4,6 e 10,6 per mille.
Per chiarire con un esempio concreto: con una rendita di riferimento di 1.000 euro, rivalutata al 5% e moltiplicata per il coefficiente 160, si ottiene come base imponibile un valore elevato su cui applicare l’aliquota comunale. Con un’aliquota dell’8,6 per mille, l’imposta risultante sarebbe dell’ordine di migliaia di euro per un immobile posseduto per l’intero anno. Per questo motivo il calcolo va tarato sulla quota di possesso e sul numero di mesi effettivi (mese intero se il possesso supera 15 giorni), e molti contribuenti preferiscono usare calcolatori online o affidarsi a professionisti per evitare errori.
Esenzioni, riduzioni e indicazioni pratiche
La normativa nazionale indica casi di esenzione e riduzione, ma la loro applicazione concreta passa spesso attraverso le scelte del singolo Comune. Tra le eccezioni previste a livello legislativo figurano, ad esempio, i coniugi che risiedono in Comuni diversi e che utilizzano ciascuno un immobile come propria dimora abituale: la giurisprudenza ha chiarito la possibilità di non gravare doppiamente le famiglie in queste situazioni. Anche la casa assegnata al coniuge separato o divorziato può essere considerata abitazione principale per chi la occupa effettivamente, con esenzione per l’assegnatario.
Tra le riduzioni ricorrenti si segnalano la diminuzione del 50% per immobili dichiarati inagibili o inabitabili previa verifica tecnica, e la stessa riduzione (50%) per i casi di comodato d’uso a parenti di primo grado se il contratto è regolarmente registrato e il proprietario possiede solo un’altra abitazione adibita a prima casa. Per gli immobili locati con canone concordato sono previste riduzioni più sostanziali, anche fino al 75% in molte giurisdizioni che adottano strumenti agevolativi. Legge 160/2019 e Legge 208/2015 forniscono i riferimenti normativi, ma il valore finale dipende dalla delibera comunale.
Per qualificare l’accesso a agevolazioni è fondamentale rispettare termini amministrativi: molte delibere comunali devono essere pubblicate entro il 28 ottobre di ciascun anno per diventare operative sulla tassazione successiva, e contratti come il comodato vanno registrati in via telematica entro 20 giorni dall’accordo. Un dettaglio che molti sottovalutano è proprio la burocrazia: senza la corretta registrazione non scatta la riduzione.
Per orientarsi tra eccezioni, verifiche catastali e giustificativi richiesti, conviene rivolgersi al commercialista o al CAF di riferimento: sono figure in grado di leggere le delibere locali e tradurre le regole nazionali in conti pratici. In molte città italiane il peso dell’IMU sulla seconda casa è diventato un elemento che spinge a rivedere scelte di possesso o a valutare locazioni concordate: è un segnale concreto di come il fisco influenzi le decisioni patrimoniali degli italiani.
