La diffamazione è un reato previsto dall’articolo 595 del Codice Penale e tutela la reputazione di ogni individuo, intesa come la stima e l’opinione che gli altri hanno di una persona. Si configura quando qualcuno, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui in assenza dell’offeso, cioè quando la vittima non è presente o non può percepire l’offesa.
La norma punisce chi diffonde frasi, scritti o immagini che danneggiano l’onore di un individuo, con pene che vanno dalla reclusione fino a un anno o dalla multa fino a 1.032 euro. Il reato si perfeziona nel momento in cui almeno due persone comprendono l’offesa, anche in tempi diversi: per esempio, se un commento offensivo viene raccontato o condiviso da un soggetto a un altro.
Indice
- 1 Requisiti per configurare il reato di diffamazione
- 2 Le aggravanti: quando le pene aumentano
- 3 Diffamazione a mezzo stampa: un reato “storico” ma ancora attuale
- 4 Diffamazione online e sui social
- 5 Le prove necessarie per denunciare una diffamazione
- 6 Quando la diffamazione non è punibile
- 7 Diffamazione e responsabilità civile
- 8 Come viene calcolato il risarcimento
- 9 Le pene previste dal Codice Penale
- 10 Tutelare la reputazione nell’era digitale
Requisiti per configurare il reato di diffamazione
Perché si possa parlare di diffamazione, devono essere presenti tre elementi chiave:
Un’offesa alla reputazione – parole o comportamenti che ledono il decoro di qualcuno.
La comunicazione a più persone, anche non simultaneamente.
L’assenza della persona offesa, che distingue la diffamazione dall’ingiuria (reato oggi depenalizzato).
Si tratta di un reato di evento, che si consuma solo quando l’offesa viene percepita da un terzo. La giurisprudenza considera diffamazione anche un messaggio diretto a una sola persona se questa ha poi la possibilità di riferirlo ad altri.
Le aggravanti: quando le pene aumentano
L’articolo 595 prevede diverse circostanze che rendono il reato più grave.
Se l’offesa consiste nell’attribuire un fatto preciso e determinato, la pena può arrivare fino a due anni di reclusione o a 2.065 euro di multa.
La sanzione cresce ulteriormente quando la diffamazione avviene a mezzo stampa, con altri mezzi di pubblicità o in un atto pubblico: in questi casi è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni o una multa non inferiore a 516 euro.
L’aggravante si applica anche se la vittima è un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, una sua rappresentanza o un’Autorità pubblica.
Diffamazione a mezzo stampa: un reato “storico” ma ancora attuale
La forma più tradizionale di diffamazione è quella a mezzo stampa, che riguarda articoli, riviste, libri o altri prodotti editoriali registrati. Si tratta di una delle ipotesi più gravi, poiché la diffusione può raggiungere un vasto pubblico.
In questo caso, la Costituzione garantisce la libertà di stampa e non consente di rimuovere o censurare preventivamente i contenuti, ma la persona danneggiata può chiedere un risarcimento in sede civile.
Diverso è il discorso per i siti web, i blog o i social network, che non rientrano nella categoria giuridica della “stampa”: in questi casi è possibile chiedere anche la rimozione immediata dei contenuti ritenuti lesivi, tramite un provvedimento d’urgenza.
Con l’espansione dei social media, la diffamazione online è diventata una delle violazioni più frequenti.
Un post offensivo su Facebook, un tweet diffamatorio o un video su Instagram possono danneggiare la reputazione di una persona in modo virale e immediato.
La giurisprudenza considera questa forma come diffamazione aggravata, proprio a causa della potenziale diffusione dei contenuti.
In rete, oltre alle sanzioni penali, è possibile ottenere l’oscuramento o la cancellazione dei post offensivi, anche in tempi brevi, per evitare che la diffusione continui a provocare danni.
Le prove necessarie per denunciare una diffamazione
Chi intende sporgere denuncia o chiedere un risarcimento deve dimostrare di aver subito un’offesa concreta.
Le prove possono includere:
Copie di articoli, post o email contenenti l’offesa.
Testimonianze di chi ha visto o sentito l’episodio.
Perizie tecniche, ad esempio per certificare l’origine di un post o un messaggio online.
Registrazioni audio o video, se l’offesa è stata pronunciata verbalmente.
È importante agire tempestivamente, perché in ambiente digitale i contenuti possono essere rimossi o modificati, rendendo più difficile la ricostruzione dei fatti.
Quando la diffamazione non è punibile
Non tutte le critiche o le opinioni negative configurano un reato.
La legge esclude la punibilità nei casi in cui l’offesa rientri nel diritto di cronaca, di critica o di satira, purché siano rispettati tre limiti fondamentali: verità dei fatti, pertinenza dell’interesse pubblico e continenza nel linguaggio.
Inoltre, l’articolo 598 del Codice Penale stabilisce che non è punibile la diffamazione contenuta negli atti processuali, se l’offesa riguarda l’oggetto del giudizio.
Un’altra causa di esclusione è prevista dall’articolo 599, quando l’offesa è commessa in stato d’ira a seguito di una provocazione ingiusta.
Diffamazione e responsabilità civile
Ogni reato, compresa la diffamazione, può comportare una responsabilità civile e quindi il diritto al risarcimento per chi ha subito un danno alla reputazione.
Oltre alle pene penali, l’autore dell’offesa può essere condannato a risarcire i danni morali e patrimoniali derivanti dalla diffusione dell’offesa.
Per avviare un’azione civile è obbligatorio tentare prima una procedura di mediazione, secondo il Decreto Legislativo 28 del 2010.
La mediazione è gestita da un professionista terzo, che cerca un accordo tra le parti in modo rapido e riservato. Se non si raggiunge un’intesa, si può procedere in giudizio.
Come viene calcolato il risarcimento
Nel caso in cui la controversia arrivi in tribunale, il giudice quantifica il risarcimento basandosi sulle cosiddette Tabelle Milanesi, strumenti che aiutano a determinare la somma dovuta in base alla gravità dell’offesa, alla notorietà del soggetto diffamato e alla diffusione del messaggio.
Il risarcimento può coprire sia il danno morale, cioè la sofferenza per la lesione della reputazione, sia il danno economico in caso di perdita di opportunità professionali o contratti.
Le pene previste dal Codice Penale
In sintesi, il Codice Penale prevede sanzioni graduate a seconda della gravità:
Diffamazione semplice: reclusione fino a un anno o multa fino a 1.032 euro.
Diffamazione aggravata per fatto determinato: reclusione fino a due anni o multa fino a 2.065 euro.
Diffamazione a mezzo stampa o pubblicità: reclusione da sei mesi a tre anni o multa non inferiore a 516 euro.
Oltre alla pena, resta sempre la possibilità per la vittima di chiedere un risarcimento in sede civile.
Tutelare la reputazione nell’era digitale
La diffamazione, che un tempo si consumava nelle piazze o nei giornali, oggi viaggia soprattutto online.
Un commento, una recensione o un video offensivo possono diffondersi in pochi minuti e restare accessibili per anni. Per questo è fondamentale conoscere i limiti imposti dalla legge e ricordare che la libertà di parola non giustifica la lesione dell’altrui dignità.
La normativa italiana, pur risalente nel tempo, si applica anche ai nuovi mezzi di comunicazione e offre strumenti di tutela efficaci, sia sul piano penale che civile.
Essere consapevoli delle proprie responsabilità — anche sui social — è il primo passo per evitare di incorrere in denunce, multe o risarcimenti salati.
